Sera bolognese

Eppure c'è qualcosa da raccontare

Ave villici!

L’altra sera, venerdì, mi ero messo d’accordo per trovarmi con due amici bolognesi che non vedevo da tempo. Siccome sono socievole ed espansivo, ed anche loro sono amanti del gioco, abbiamo deciso di andare al Falchi per seguire l’inusuale sfida salvezza tra Palfinger e Fortitudo, invece di ingozzarci come dei majali come nostro solito.

Chiameremo i due amici Gino e Poldo, tanto chi siano è ininfluente al fine del racconto della serata. Arrivato con Poldo in perfetto orario, troviamo parcheggio praticamente davanti all’ingresso del Falchi, una cosa che in occasione delle altre visite allo stadio bolognese era pressochè impossibile. Nell’attesa dell’arrivo di Gino fumiamo una sigaretta, ben presto ci rendiamo conto che la serata sarà per pochi intimi, entrano solo una quindicina di persone in un quarto d’ora, tutte over 60.

Arrivato anche il terzo del gruppetto entriamo: si paga l’obolo di 10 euro (no POS, ben segnalato alla cassa) e notiamo come lo stadio sia praticamente deserto, 120-140 persone. L’età media è intorno ai 60, come detto: è sconcertante come si faccia fatica a trovare un Under40, tanto che temo di essere, senza alcuna ironia, il più giovane all’interno dello stadio. Poi finalmente avvistiamo almeno due bambini e mi levo questo peso dal cuore. Cerchiamo di capire chi sono i giocatori, da un rapido conteggio sommario abbiamo visto 5 partite di baseball italiano in 15 anni in 3, quindi per noi è pressochè un insieme di sconosciuti.

In attesa del playball ci fermiamo a ragionare un attimo sullo spettatore medio del baseball italiano: chi è, di fatto, la persona che entra oggi la Falchi, allo Jannella, al Cavalli o al Borghese? E’, come abbiamo visto con i nostri occhi, una persona con qualche anno sulle spalle, legittimo pensare che sia un sopravvisuto sia all’epoca d’oro che al conseguente genocidio di spettatori avvenuto nel corso degli anni da parte di un movimento capace di annientarsi da solo (per un motivo o per l’altro, lasciamo perdere questo, per il momento). Presumiamo che sia, come lo siamo noi 3 per primi, nostalgico di un’epoca d’oro, di un grande passato che non tornerà, dato che il movimento adesso non produce nulla e anche solo ricordare gli anni gloriosi dei vari Talarico, Olsen, Castelli provoca un misto di nostalgia e sgomento.

Il patito di baseball deve vivere la sua passione in segreto, visto che difficilmente ha occasione di confronto con un esterno. Il baseball è un ambiente ormai carbonaro, naturale figlio di uno sport marginale e di una disciplina incompresa e ignorata. La sensazione che abbiamo poi provato un po’ tutti, immagino, quando ci è capitato di dire a degli sconosciuti di giocare o di seguire il baseball. Ringraziamo che le reazioni non sono di scherno o di diffidenza, verrebbe da dire: sapessero che ambiente è.... Non è un caso, insomma, che il movimento parli solo con se stesso, e sempre con crescente difficoltà.

Nonostante questo però è lì, il nostro spettatore, a testimonianza di questa incrollabile fede, anche se forse sarebbe più logico parlare di malattia, visto il contesto. Sempre in attesa di una ripartenza, a voler essere positivi, o ultimo stoico testimone nei secondi prima del disastro, a voler essere più realisti. Non sappiamo spiegarci perché, ma nessuno dei 3 crede che tra i presenti ci sia un qualche ingresso recente: il gergo è da iniziati, i nomi citati partono dalla fine dei ‘70, un ambiente incapace di attrarre ricambio generazionale da 50 anni non credo possa aspettarsi di avere vita lunga. Inoltre è palpabile l'aria di smobilitazione, l'atmosfera da sagra di paesino dell'entroterra. In questo caso non parlo di Bologna, ma dell'ambiente italiano tutto. Non so voi ma io ho proprio questa sensazione, condivisa anche dai 2 amici presenti con me venerdi sera.

Smettiamo di pensare così forte forte e ci dirigiamo al punto ristoro, visto l’orario infame delle partite tocca mangiare allo stadio. Il menù prevede una bizzarria culinaria, una scelta interessante: non il classico hamburger, mi pare un buffalo burger, o qualcosa del genere. Opto per la piadina, piatto per me esotico, mentre il ghiotto Poldo osa l’inosabile e spolpa l’hamburger, rimanendo soddisfatto. 10 euro per una piada e una birra, per me terrone non avvezzo a questi barbari pasti, mi sembra un prezzo ragionevole. Rimango un attimo stupito quando vedo che lo chef alla piastra è Landuzzi, o almeno così ci pare a tutti e 3.

La partita intanto è iniziata, i primi due inning scorrono veloci, ma non riusciamo a farci prendere dalla partita. Un po’ appunto per il clima di smobilitazione che percepiamo e che annichilisce ogni intento gioioso, un po’ perchè il match è veramente poca cosa, specialmente dal punto di vista degli attacchi, con swing spesso orribili e una difesa reggiana assai traballante. Continuiamo a ciarlare tra di noi e ci spostiamo sulle tribunette subito dietro la terza base, prossime a essere ricoperte da una rigogliosa vegetazione infestante: anche su questo punto ci lanciamo in dotte disquisizioni, cercando di capire perché lo spettatore sia visto quasi come un fastidio, un problema. Se siamo in 10 facciamo di tutto per essere 8, non 12. Ad onor del vero provo a spiegare che la realtà che ho visto al Falchi mi pare comunque di gran lunga migliore di quella grossetana, dove lo scorso anno era impensabile bere una birra e mangiare un panino (o, più prosaicamente, pisciare). Quest’anno sono stati fatti passi avanti, ma insomma siamo a lodare il fatto che siano aperti i bagni, ecco.

Poldo e Gino invece si sono incaponiti in una gara di ricordi sui tempi passati, quando venivano regalati abbonamenti ai bambini del settore giovanile etc etc, confermando loro stessi l’inestirpabile passione di questo ambiente per i tempi che furono, un carburante tossico che a mio avviso non serve nemmeno a nulla: abbiamo un radioso futuro alle spalle, d’accordo, ma non è possibile vivere perennemente nella nostalgia dell’epoca d’oro e TalaricoOlsenCastelli, insomma. Presumiamo che farebbe bene una dura ma sincera elaborazione del lutto, del resto è andata così: gli anni più belli di questo sport non possono diventare un mito paralizzante “perché non torneranno”. Esercizio non facile, va detto, in un Paese che vede l’innovazione con sospetto in qualunque settore e che preferisce di gran lunga la commemorazione. Poi adesso con la frase “come si fa a non essere romantici col baseball” pronta per ogni occasione è ancora più ardua.

Arriviamo al terzo inning, ci spostiamo dietro al piatto di casa base, tanto non è che manchino posti. Facciamo in tempo a vedere da una posizione privilegiata la giocata che di fatto deciderà la partita: con due uomini in base viene battuta una palla sull’esterno centro. Dalla nostra posizione pare una facile volata, vediamo l’esterno correre a testa bassa in direzione della seconda base e la palla cascargli alle spalle di 20 metri, una cosa che non avevo mai visto nemmeno nei ragazzini. Sembra tanto una scena di Charlie Brown, quando la pallina cade dietro ad uno dei personaggi dei Peanuts. 

Per carità, non per fare sempre il bastian contrario: ci sta che un esterno perda la palla perché gli entra nella luce del faro, nel riflesso della tribuna o quel che si vuole. Capita in MLB, figuriamoci se non può capitare ad un giocatore che siamo andati a cercare nel campionato spagnolo per alzare il livello di quel campionato sfidante che è la Serie A2. Quel che mi lascia un minimo basito è che generalmente, dopo 3-4-5 passi, l’esterno si rende conto dell’errore di valutazione e quindi o si ferma interdetto alla ricerca della palla o tenta di cambiare direzione della corsa, cosa che in questo caso non è avvenuta. Per i più curiosi, ora che abbiamo lo streaming, si può vedere la giocata intorno a 59:30 della muta diretta Youtube. Fate caso a dove è l’esterno centro e dove va a raccattare la palla l’esterno destro, giusto per farvi un’idea del capolavoro.

La partita di fatto finisce qui, impensabile che l’attacco di Reggio Emilia, almeno quello di venerdì, potesse segnare 4 punti, fosse anche contro un pitcher tutt’altro che trascendentale quale ci è apparso tal Bermudez. Torniamo quindi a parlottare tra di noi, non necessariamente di baseball: non ci vediamo insieme da mesi e la gagliarda ironia commilitona si spreca. Finanziamo la causa con altre due birre ed un Maxibon per Poldo, molle e vile.

Aggiorno un po’ i miei amici sulle news di casa nostra: anche loro si sono distaccati dal mondo del baseball italiano dopo i tragicomici Mondiali del 2009, ma hanno avuto più sangue freddo di me nello sviluppare nuovi hobby e tenersi ben alla larga da questo inferno. Ci facciamo qualche grassa risata in onore dei tempi che furono, ma sembra quasi che sia in essere un tacito accordo di non pensare al baseball, ogni tanto gettiamo lo sguardo sul campo e uno dei 3 trova sempre lo spunto nuovo per ravvivare la conversazione, sempre parlando d’altro.

La partita finisce, ci dirigiamo mesti verso l’uscita, prima di andare via mi prendo una bottiglietta d’acqua al bar per i 100 km del viaggio di ritorno, intanto nei tavolini accanto qualcuno festeggia il compleanno e l’allegria regna sovrana. Gino mi fa notare che c’è uno striscione, c’è scritto “I Massacratori” ed è stilizzata la figura di un giocatore intento a fare un bunt tecnicamente perfetto. Ci sorridiamo, ma è una risata amara, ma almeno per noi è la degna conclusione della serata.

Da non crederci a ridursi così….

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